Coi suoi 900 m d’altitudine, in piena Valle Intemelia, il Comune di Bajardo è il più elevato della zona, alle spalle di San Remo. Non a caso è detto anche “Il Terrazzo sulle Alpi”, grazie al suo panorama mozzafiato sulle Alpi liguri e francesi da una parte e il mare dall’altra. E' qui, infatti, che avviene l’incontro tra due zone climatiche, il mare e la montagna, che danno origine ad un microclima particolare; è qui che il sole splende per una media di 300 giorni l’anno ed è sempre qui che una vegetazione, composta prevalentemente da pinete e castagni, incornicia uno dei Comuni più affascinanti di tutta la Liguria.

Da sapere

La storia di Bajardo assume toni affascinanti e misteriosi. La leggenda narra che sia stato il paladino Rinaldo a dargli il nome del proprio destriero, Bajardo, appunto. Ma certo è che a Bajardo le radici lontane sono ancora molto presenti.

Prima dell’arrivo dei Romani, Bajardo fu uno degli insediamenti dei Druidi. In effetti pare che la Liguria fosse abitata già nel II millennio a.C. da un popolo di origine indoeuropea al quale, tra il VII e il VI sec. si aggiunsero i Celti. Più o meno nello stesso periodo arrivarono gli Iberici e i Greci che introdussero la coltivazione dell’ulivo e della vite. Fu così che i Celti e i Liguri si unirono in una vera e propria simbiosi, mettendo insieme abitudini, lingue e religioni e creando una civiltà celto-ligure molto forte. Tanto che quando, nel III sec. arrivarono, i Romani si trovarono di fronte 5 diversi popoli: i Celti, gli Iberici, i Volci, i Celto-Liguri e i Greci che non riuscirono a distruggere. Ma chi erano i Druidi?

Sui Druidi non esistono documenti scritti: tutto ciò che sappiamo ci viene dagli scrittori dell’antichità. Sappiamo che si definivano figli di Teutates, Padre degli uomini e inventore dell’agricoltura. Credevano fortemente nel fato o destino e avevano un solo dio, il Bea –Uil che significava “la vita in ogni cosa”. Pare che fossero estremamente intuitivi e chiaroveggenti e che, su queste abilità, avessero fondato tutte le loro enormi conoscenze. Uno dei loro principi assoluti era di nascondere agli estranei i dogmi del proprio culto.

I Druidi festeggiavano il Be-il-tin che ricorreva all’inizio di maggio e segnava l’inizio dell’anno druidico. Per l’occasione veniva acceso un gran fuoco in onore del dio Sole. C’era poi il Sam’hin ovvero “fuoco della pace” che si celebrava il 27 ottobre per giudicare pubblicamente, e risolvere una volta, per tutte le contese nate fra gli abitanti. Ogni 6° giorno dopo il plenilunio, infine, i Druidi raccoglievano il vischio sacro, protagonista di intense cerimonie per favorirsi la buona sorte.

Da vedere

La parte più interessante del paese è quella alta. Lì si trovano i resti della Chiesa di San Nicolò, sorta sulle vestigia di un antico tempio pagano sacro al dio Abelio e distrutta da un devastante terremoto. La mattina del 27 febbraio 1887, mentre tutta la popolazione era in chiesa a ricevere le ceneri del mercoledì santo, la terra tremò e il tetto della chiesa crollò sulle gente di Bajardo, decimandola. Oggi niente sembra essere stato toccato. La chiesa è ancora priva di tetto, con i muri perimetrali intatti, ciò che resta di un altare in pietra e un manto erboso al posto del pavimento.

Proprio dietro la chiesa si può accedere ad un pianoro, indicato con l’insegna “Terrazzo sulle Alpi” , dove trascorrere qualche minuto a meditare sulla magnificenza della natura. Da non perdere sono anche: la Porta dei Saraceni in pietra locale, l’Oratorio di San Salvatore che custodisce un prezioso polittico del 1500 raffigurante la Trasfigurazione di Emanuele Maccario, la caratteristica via Portaro Piano e infine, poco fuori dal paese in direzione nord, la chiesa romanica di San Gregorio dell’XI sec.

Da festeggiare

Il passato di Bajardo rivive ogni anno nella sua festa più caratteristica, RA BARCA, che ricorre il giorno della Pentecoste. Nell’occasione viene tagliato un pino e il suo tronco, privato di tutti i rami, viene eretto al centro della piazza del paese per una settimana di canti e balli, fino alla domenica successiva quando l’albero, come simbolo di futuro e felicità, viene venduto all’asta al miglior offerente. Il tutto risale all’epoca dell’ultimo Conte di Bajardo. Si racconta che la Repubblica di Pisa avesse acquistato lì una grande quantità di legname, destinato alla costruzione della sua potente flotta navale e che un bel giorno si presentassero in paese alcuni pisani, venuti a ritirare il prezioso carico. Ma durante le lunghe giornate di lavoro alcuni di essi si innamorarono delle tre figlie del conte e più di tutti il capitano, acceso d’amore per la più giovane, la bella Angelina. Il Conte le proibì di incontrare il giovane ma essi fuggirono insieme durante la notte, tentando di raggiungere Pisa. Allora il conte li inseguì e, raggiuntili, decapitò la figlia disubbidiente con un solo fendente. Fu così che il giovane capitano se ne tornò a Pisa e il pino di oggi sta ancora lì a rappresentare l’albero di quella nave triste che tornava in patria piangendo il suo amore.

Da gustare

La gastronomia locale è quella tipica della montagna. Assolutamente da non perdere i “ciausun” le torte di erbe selvatiche cotte nel forno a legna, le lasagne, il coniglio, le verdure sott’olio, i pomodorini secchi, i fagiolini freschi, il tutto innaffiato da un bel bicchiere di Rossese.